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"Il piccolo ma intenso epos dei fratelli Bueno è uno spaccato dell'Europa che fu, quella che gli sconvolgimenti politici e bellici della prima metà del secolo scorso portarono alla dissoluzione definitiva. Nati da genitori che partivano dagli estremi dei territori, un padre spagnolo e una madre polacca, il primo dei due, Xavier, nasce nel 1915 in un paesino basco alla frontiera spagnola con la Francia, il secondo, Antonio, nel 1918 durante gli ultimi mesi della guerra, a Berlino dove il padre Javier fa da corrispondente per un quotidiano spagnolo. La madre è polacca ed ebrea. Sono quindi geneticamente cosmopoliti in una Europa che cosmopolita fu e cessa di esserlo. Si formano fra Ginevra, dove il padre lavora alla Società delle Nazioni, e Parigi. Poi si trovano ad essere spagnoli impossibilitati a tornare in una Spagna franchista, piazzati nel 1940 in una Francia occupata dai tedeschi. E scoprono come altri in quegli anni terribili una sorta di rifugio precario in una Italia che rimane comunque il ventre molle delle dittature. Approdano nella meraviglia di Firenze che vivono come un vasto museo delle maestrie pittoriche del passato, quelle che saranno l'esempio da seguire per allontanarsi dalle avanguardie che stanno ovunque collassando. Diventano pittori professionisti, provano a campare del loro lavoro creativo in anni nei quali la guerra prima, la ricostruzione poi sembrano poco propensi ai lussi dell'arte. Eppure riescono ad ottenere riconoscimenti e successi, nonché una vita tollerabile se non addirittura talvolta agiata, praticando una pittura estremamente personale. Mettono su famiglia. Si radicano. E a Firenze porteranno a termine la loro esistenza terrena. Ma nel frattempo generano un piccolo cosmo artistico, una sorta di laboratorio del pensiero visivo nel quale crescono i loro figli, una bizzarra accademia domestica della creatività." (dalla prefazione di Philippe Daverio). Con contributi di Isabella Bueno e presentazione di Eugenio Giani.